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Rossella Callovi, la nuova vita a Dubai e l’idea Cycling Centre

L’esperienza maturata nel corso degli anni, da atleta prima e da tecnico della nazionale juniores femminile di ciclismo poi, messa a disposizione della Polizia di Dubai. Da un anno e mezzo a questa parte, la ex ciclista trentina Rossella Callovi ha abbandonato il Trentino e la sua Valle di Non (è originaria di Termon) per trasferirsi a Dubai, dove da marzo 2024 ricopre il ruolo di consulente dello Sport Excellent Center del Dipartimento degli Affari Sportivi della Dubai Police, chiamata a sviluppare una realtà a cui fanno capo 28 differenti discipline sportive.

Rossella Callovi ha raccontato la sua nuova avventura oggi a Trento
Rossella Callovi ha raccontato la sua nuova avventura oggi a Trento

Quelle di punta, negli Emirati, sono il Ju Jitsu (arte marziale), le specialità dello “shooting” (tiro a segno e tiro a volo) e proprio il ciclismo, materia in cui Rossella è particolarmente ferrata, lei che nel 2009 si laureò campionessa del mondo della corsa su strada nella categoria Junior Donne, a Mosca.
«Terminata la carriera agonistica, ho fatto parte dello staff della nazionale femminile e ho lavorato in caserma a Trento con l’Esercito, di cui facevo parte già da atleta» spiega Rossella, che oggi ha incontrato la stampa a Palazzo Moggioli a Trento, raccontando la sua nuova avventura.

Poi la chiamata degli Emirati.
«Mi ha chiamata l’Ambasciata degli Emirati Arabi a Roma – racconta Callovi -. Sono stata contattata dal direttore degli affari sportivi della Polizia di Dubai, inizialmente per lavorare sul ciclismo. Mi è stato proposto di fare un mese di prova a Dubai, per conoscere l’ambiente. Era il novembre 2023. Non è stato facile lasciare tutto ciò che mi ero costruita qui in Italia in tanti anni ma... mi sono lanciata. Mi sono detta “o salto subito su questo treno o chissà quando mi ricapiterà».

A tornare indietro, d’altronde, si fa sempre in tempo e, viste le sue indubbie qualità, Rossella troverebbe le porte spalancate in molte altra realtà.
«Attualmente il mio ruolo è quello di consulente dello sport, dei 28 sport che, come Polizia di Dubai, ci prendiamo in carico di promuovere sia a livello base che per quel che riguarda lo sviluppo del talento. Si cerca di avvicinarsi al modello europeo dei gruppi sportivi militari».

Dal campo, dunque, ora è passata alla scrivania.
«Il mio focus prima era sulla parte tecnica, ora invece su quella manageriale e organizzativa. Ad ogni modo, l’esperienza da atleta mi è servita per capire molte cose. Chiaro che gestire 28 differenti team non è semplice».

Come si sviluppa il lavoro?
«Dopo una prima fase di analisi, abbiamo sviluppato una strategia sportiva a 360°, cercando di costruire in primis una struttura organizzativa, con dei ruoli ben definiti e due macro aree, guardando allo sport di alto livello e a quello legato, invece, alla promozione del benessere del personale e al coinvolgimento della popolazione, senza trascurare l’aspetto mediatico e del marketing».

La sua giornata tipo?
«Inizio alle 7.30 e dovrei finire alle 15.30, ma uso il condizionale perché questo non succede quasi mai. Stiamo dando vita a tanti nuovi progetti, abbiamo 28 team da seguire, tutti i relativi staff. Stiamo sviluppando dei sistemi con l’aiuto dell’intelligenza artificiale per la profilazione degli atleti, la gestione dei calendari e degli allenamenti, per avere dati concreti che consentano di fare delle scelte ponderate. Riunioni ed eventi si susseguono, c’è da correre parecchio».

Che differenze ha trovato rispetto alla realtà italiana?
«Le Federazioni non sono sviluppate come da noi, pertanto bisogna iniziare dalla parte organizzativa, con i vari step, sia sotto l’aspetto dei calendari, che degli allenamenti. Inizialmente c’era da rimodulare il Dipartimento stesso, definire le competenze chiave. Poi via via si procede, a cascata».

Cosa ha portato con sé a Dubai dal Trentino?
«Dal Trentino mi sono portata il bagaglio frutto di tutti i ruoli che ho ricoperto nella mia esperienza sportiva, la mentalità del lavoro, necessario per raggiungere certi obiettivi. Mi sono portata l’esperienza maturata sul campo, che non si impara sui libri ma che spesso è quella che fa la differenza. Dubai è una città che guarda all’eccellenza, all’avanguardia, attenta allo sviluppo di nuove tecnologie».

Per lo sviluppo di qualsiasi settore, è necessario partire dalla base, in questo caso dallo sport giovanile.
«Bisogna investire sulla promozione dello sport a livello giovanile. Il fenomeno del “drop out” è evidente in questa sfera, parliamo di un 18% di abbandono precoce tra i 10 e i 24 anni, le punte riguardano la fascia d’età 10-13. Lo stiamo vedendo nel ciclismo. È importante che istituzioni, federazioni, sistema scolastico, squadre di club lavorino assieme per creare una cultura sportiva, che deve essere rivitalizzata all’interno delle scuole e dei club stessi».

Per farlo, serve anche personale qualificato.
«Altro nodo chiave. C’è bisogno di personale all’altezza, con le giuste conoscenze e competenze, capace di adattarsi alle nuove generazioni. Bisogna stare al passo con i giovani e bisogna investire “per” e “sui” giovani».

I numeri parlano chiaro. Il ciclismo, rimanendo nella sfera che per lunghi anni è stata (ed è ancora, almeno in parte) di sua stretta competenza, sta soffrendo.
«Se guardo alla realtà del nostro piccolo Trentino, a livello di risultati non ci si può lamentare e questo mi fa piacere. Il campanello d’allarme, ma questo è un discorso relativo al ciclismo italiano in generale, è rappresentato dalla carenza di “materia prima”, necessaria per andare a sviluppare i nuovi talenti. Basti guardare il numero dei tesserati di società storiche, la prima significativa indicazione la si troverà lì».

Quale potrebbe essere un modello di riferimento?
«Quello inglese. Al termine dell’attività scolastica, si va scuola a fare attività sportiva. Questo, oltre a promuoverne la pratica, consente di individuare talenti, di indirizzare i vari atleti in base alle loro caratteristiche e potenzialità».

Qual è la realtà “ciclistica” di Dubai?
«Ci sono due centri riservati solo ai circuiti ciclabili. C’è un “loop”, un anello di 9 chilometri riservato alle bici, che possono poi proseguire lungo la costa. Ad Al Qudra c’è un altro circuito di 50 chilometri. Inoltre, c’è un progetto per il 2040 di creare una struttura coperta di 90 chilometri all’interno della città. Nelle strade principali di Dubai è impossibile muoversi in bicicletta».

A Trento, le società ciclistiche invocano da almeno due decenni un circuito protetto per l’attività di base. Non di 90, né di 50, tanto meno di 9 chilometri. Basterebbero 1000, 1500 metri...
«Il tema della sicurezza è quanto mai centrale e un circuito protetto per i più piccoli è indispensabile. Non mi limiterei però a quello. Bisognerebbe sviluppare un centro vero e proprio, che possa ospitare una scuola di ciclismo e non solo. Al circuito protetto, necessario per sviluppare l’attività di base, potrebbe essere abbinata una struttura da dedicare ai test, biomeccanica e quant’altro, di supporto agli atleti. Come ha fatto la British Cycling, che ha un proprio centro. Il Trentino potrebbe essere il primo, potrebbe creare un modello da riproporre ed esportare in altre parti d’Italia».

A Trento si parla di Mondiali 2031, che probabilmente arriveranno e rappresenteranno un importante vetrina. Un evento che può fare da traino per la base, che, come anticipato, è però in sofferenza.
«Come detto, il primo approccio deve essere nelle scuole, grazie alla collaborazione di tutti, istituzioni, federazioni, squadre di club. Le risorse, in primis, vanno impiegate a sostegno dello sport giovanile, a progetti rivolti ai giovani. Questo significa affidarsi a figure esperte, laureati in scienze dello sport e attività motorie, che abbiano dimestichezza con le nuove tecnologie, le nuove metodologie d’allenamento e di approccio ai giovani».
Fatto questo, allora sì, i grandi eventi possono rappresentare uno straordinario traino per l’intero movimento.

Tornando al tema della sicurezza, che in Trentino è particolarmente caldo dopo la tragica morte dei due giovani ciclisti Matteo Lorenzi e Sara Piffer, cosa si può fare?
«I ciclisti devono convivere sulle strade con gli automobilisti. Anche in questo caso, bisogna attivare una rete di promozione e divulgazione del codice della strada, dei giusti comportamenti da tenere, i ciclisti per la loro parte, gli automobilisti per la loro. Questo comporta anche degli aggiornamenti obbligatori sulle varie tematiche da tenere in considerazione, in virtù del fatto che i tempi sono cambiati. Ci sono più distrazioni alla guida, smartphone in primis. Bisogna promuovere una conoscenza approfondita».

Chissà, un giorno, quando Trento avrà un suo “Centro del Ciclismo”, Rossella Callovi potrà tornare a casa, magari proprio per gestirlo.
«In futuro non mi dispiacerebbe l’idea di tornare in Italia, in Trentino, e poter mettere a disposizione le esperienze maturate. L’obiettivo, ora, è quello di chiudere il percorso iniziato a Dubai, concretizzare i progetti in atto per creare una struttura che possa autosostenersi».
Nel 2009 a Mosca Rossella Callovi tagliò il traguardo a braccia alzate, laureandosi campionessa del mondo. In palio, a Dubai, non ci sono maglie iridate, ma c'è da scommettere su un suo nuovo successo.

Autore
Luca Franchini
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